Dalla
pubblicazione del saggio Storia del
brigantaggio dopo l’Unità da parte di Franco Molfese (Feltrinelli, 1964) è
trascorso più di mezzo secolo. Un periodo nel quale le fonti storiografiche si
sono arricchite di nuovi e copiosi elementi a lungo rimasti sepolti negli
scaffali polverosi di archivi pubblici e privati. Se il testo dello storico
marxista squarciò un velo su quella che fu la prima guerra civile del neonato
Stato italiano, le fonti vennero poi utilizzate per interpretazioni le più
variegate, tra le quali i principali filoni interpretativi possono essere così
individuati: una guerra contadina per il riscatto sociale, una rivolta armata
di classe, una resistenza legittimista in difesa del trono esautorato, una
recrudescenza delinquenziale di un banditismo, a tratti anche romantico, ben
presente, soprattutto al Sud.
La
diffusione del fenomeno del brigantaggio post-unitario, non perfettamente
omogenea sul territorio annesso al Piemonte e che dal 1815 era conosciuto come
Regno delle Due Sicilie, le diverse intensità belliche messe in campo in una
prima fase, caratterizzatasi soprattutto nelle zone di confine con lo Stato
Pontificio e di una seconda fase, quella comunemente definita “Grande
Brigantaggio”, che interessò, invece, vaste porzioni della Basilicata, del
Cilento, degli Abruzzi e della Terra di Lavoro e, in maniera più complementare,
le Puglie e le Calabrie, ci inducono a tener conto delle diverse
interpretazioni come tutte coerenti al fenomeno in questione. Il presente
saggio, tuttavia, porrà la sua attenzione specifica su quelle che furono le
motivazioni sociali del conflitto, se esse furono determinate solo da
ribellismo fine a se stesso e catalizzato contro il “nuovo che stava
avanzando”, o se, invece, nella rivolta contadina possano essere individuati
elementi primordiali di lotta di classe.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.